L’esordio dell’Isis in Iran

Donald Trump (Ansa)
Donald Trump (Ansa)

ROMA – La prima ricetta Trump non è riuscita ed ecco che, puntuali come un orologio svizzero, i terroristi dell’Isis esordiscono anche in Iran colpendone al cuore la capitale. Il mese scorso in vista delle elezioni presidenziali Donald Trump aveva sferrato un colpo all’orgoglio nazionale dell’Iran con la decisione di rivedere gli accordi sul nucleare firmati da Obama.

Questa volta però gli iraniani non hanno abboccato, non hanno cioè reagito facendo vincere le elezioni presidenziali ai nazionalisti come successe invece quando elessero presidente Ahmadinejad in risposta all’improvvida decisione dell’allora presidente George Bush junior di includere l’Iran nella lista dei “Paesi canaglia”.

Questa volta il candidato della destra nazionalista è stato invece battuto: gli iraniani hanno confermato presidente il moderato e
pragmatico Hassan Rohuani, l’artefice dell’accordo sul nucleare che Trump vuole cancellare e del conseguente disgelo in campo
internazionale.

Il debutto dell’Isis anche in Iran non sorprende affatto. Si tratta infatti di una delle opzioni raccomandate alla Casa Bianca quando l’inquilino era Obama – e in seguito rese note con il libro Labirinto Iran – da uno dei più celebrati think tank statunitensi. Vale a dire, dal Saban Center for Middle East Policy emanazione della Brookings Institution, che ha sede a Washington.

Nata nel 1916, la Brookings nel 2009 è stata posta in cima alla classifica del Foreign Policy Think Tank Index. I sei autori del report del Saban Center alla Casa Bianca sono tutti nomi di alto livello, che hanno ricoperto incarichi di responsabilità chi al Dipartimento di Stato e chi al Consiglio di Sicurezza Nazionale, chi nella Cia e nelle azioni degli Usa in Iraq, Corea, Pakistan e Afganistan sfociate come è noto in guerre e affini.

Non manca neppure un ex ambasciatore in Israele e consigliere personale del presidente Clinton, come Martin Yndik, né un membro dello staff di governo del presidente Obama, come Suzanne Maloney. Il dato interessante è che le raccomandazioni di Labirinto Iran, cioè del Saban Center, fanno parte in un modo o nell’altro della dottrina politico militare Usa, quale che sia quella scelta di volta in volta dalla Casa Bianca, per il semplice motivo che prendono in esame nove scenari, tutti quelli possibili e immaginabili nei confronti dell’Iran: dall’invasione militare massiccia a una lunga campagna di bombardamenti aerei, dall’accordo di pace globale al “contenimento” rivelatosi vincente contro l’Unione Sovietica, dalla sobillazione dell’opposizione a quella delle minoranze etniche e al colpo di Stato, dal disco verde a un attacco israeliano allo strangolamento economico tramite l’aggravio sempre più pesante delle sanzioni.

Obama tra i nove scenari aveva scelto almeno in parte quello degli accordi pacifici. Trump con la decisione di ridurre o annullare gli accordi sul nucleare ha reso noto al mondo che dal labirinto Iran intende invece uscire in modo meno pacifico. Ed ecco l’Isis prendere la palla al balzo per insanguinare anche Teheran. E’ interessante notare che nessuno dei sei autori si maschera con la solita missione a stelle e strisce di esportare la democrazia (anche) in Iran. In tutte e nove le opzioni, dalla pace globale all’invasione militare, vanno tutti direttamente al sodo senza ipocrisia: parlano infatti solo ed esclusivamente della difesa degli “interessi americani in Medio Oriente”.

I sei esperti mostrano anche di avere imparato dalle esperienza in Iraq e in Afganistan, che definiscono fallimentari, soprattutto la prima perché non sostenuta della quantità di uomini necessari. I sei avvertono che per invadere un Paese e riuscire in qualche modo a “pacificarlo”, cioè a tenerlo sotto controllo, ci vuole almeno un soldato o poliziotto ogni 20 abitanti: quindi una eventuale invasione dell’Iran avrebbe bisogno di almeno 3,5 milioni di uomini in divisa adeguatamente armati. Da notare che l’appoggio Usa (e inglese) ai ribelli “democratici” siriani ricalca proprio uno degli scenari esaminati dal Saban Center per l’Iran: quello della sobillazione, rivolta e armamento delle minoranze etniche, scenario che è esplicitamente previsto dai sei esperti come grimaldello utile a erodere l’influenza e le alleanze di Teheran in Medio Oriente e farne franare il regime.

Insomma, se la tragedia siriana ha tutta l’aria di essere la prima mossa, sperimentale, di una spallata al regime iraniano, il sanguinoso esordio dell’Isis a Teheran ha tutta l’aria di voler essere la seconda: cuocere anche l’Iran con la ricetta del Saban Center sperimentata in Siria.

Gli “interessi americani in Medio Oriente” prima di tutto!

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